Questo, in una parola, è il ruolo politico-economico ed etico-sociale dell’imprenditore. Le sfide che abbiamo di fronte richiedono un tale coraggio. Il futuro si può subire, osservare, oltrepassare o invece affrontare e progettare. Già prima della tragica guerra russo-ucraina, eventi impetuosi erano all’opera: la pandemia, la crisi economico-finanziaria dal 2008 ed ancor prima la globalizzazione, il cambiamento climatico, l’innovazione tecnologica, la rivoluzione digitale con la quarta rivoluzione industriale hanno cambiato i tratti delle nostre società, ridisegnando la vita degli individui e delle comunità. Si tratta di un fenomeno storico-evolutivo complesso, frutto di un processo lungo, iniziato dopo la seconda guerra mondiale e sviluppatosi lungo il percorso del tempo con un’accelerazione crescente e strepitosa. Gli ultimi avvenimenti del Covid-19 e della guerra nel cuore dell’Europa, uniti ad oltre due decenni di poca crescita in Italia, hanno mandato in frantumi le illusioni di una nuova fase di sviluppo. Adesso il rischio di fermarsi e di subire il futuro,piuttosto che progettarlo, è elevato. Certamente di fronte al coraggio del mondo imprenditoriale ci sono impedimenti da superare, alcuni dei quali vengono da lontano, come la frammentazione sociale, che coesiste con comportamenti individuali dannosi, allorquando impediscono l’attuazione di disegni e iniziative coerenti di politica economica. A ciò si aggiunge l’incertezza delle dinamiche geopolitiche e del futuro degli stili di vita delle persone. Ma adesso occorre il ruolo insostituibile e creativo degli imprenditori per farci uscire dalla crisi e guardare ai prossimi anni e decenni, compiendo scelte rilevanti per il futuro delle nuove generazioni. Le imprese sono centrali per le sorti del Paese, ne rappresentano il volano per una prospettiva di benessere presente e futura per gli individui e le comunità. Imprese e lavoratori sono le leve per avviare un percorso virtuoso di collaborazione e di condivisione, inventando nuove regole, avendo chiara la direzione, che è quella del fine insostituibile dell’impresa: lo “sviluppo integrale” della società.
E’ormai evidente a tutti come lo “sviluppo integrale dell’uomo” (enciclica Populorum progressio, 26 marzo 1967, cap.1), unito all’ “ecologia integrale” –la quale è economica, ambientale, sociale, culturale, della vita quotidiana, che protegge il bene comune e sa guardare al futuro (enciclica Laudato sì, 24 maggio 2015, cap. 4)– opera purtroppo sganciato dai valori etici, portando l’intero ordine internazionale alla catastrofe; e questo fa capire come, per il benessere dell’umanità, sia necessario coniugare l’etica e la solidarietà con la massimizzazione del profitto, con l’ideologia consumeristica e con l’idolatria del denaro a scapito dell’economia reale. Gli imprenditori, creando le loro imprese, hanno una missione importante da compiere: garantire a tutti il diritto al lavoro, al cibo, all’acqua e ad una vita umana degna di essere vissuta, realizzando l’auspicato nuovo Umanesimo e Rinascimento nel mondo. Ciò potrebbe apparire un impegno immane, ma non impossibile, se iniziamo ad educarci ad un nuovo stile di vita, promuovendo un diverso paradigma improntato alla sobrietà e sostenibilità come valori universali. Il Cantico delle Creature di Francesco di Assisi, così ricco di simbolismi e di profondi insegnamenti, ci propone una realtà, oggi particolarmente sentita a causa della pandemia, e cioè che tutto è in relazione, tutto è connesso, sia nella nostra vita che nei rapporti con la natura, alla quale non sono estranei i valori di giustizia, di fedeltà e di fraternità. Del resto, già la Rivoluzione Francese professava insieme alla libertà e all’uguaglianza il valore della fraternità. Con il tempo, con la storia, questo ultimo valore si è perso,e la fraternità è diventata la sorella povera di libertà e uguaglianza, nel cui nome si sono confrontate e combattute battaglie ideologiche e sociali. Un errore non ancora culturalmente, politicamente e socialmente superato; non considerando che senza fraternità non ci sono nemmeno libertà e uguaglianza, delle quali essa ne è il presupposto.
E’ quasi superfluo ricordare che questa società frenetica e ipertecnologica ci impedisce spesso di discernere e di vedere ciò che è successo nella società dei consumi, a cui ricorriamo per soddisfare, senza remore, i nostri desideri superflui ed effimeri, perdendo di vista che la responsabilità è di tutti; ma sugli imprenditori, di ogni settore e dimensione, grava ancora di più perché devono prendere decisioni che riguardano la gestione aziendale, ma anche la sorte delle persone e delle famiglie, la cui situazione di sicurezza socio-economica dipende dalla loro capacità di scegliere e di ascoltare le ragioni e i bisogni degli altri.
L’imprenditore spesso è chiuso in sé stesso, nel suo piccolo mondo, vivendo la creazione del suo “gioiello” come tutta la sua vita, senza uscire e agire dal particolare al globale. L’apertura e l’attenzione ai cambiamenti politici e socio-economici riguardano, anzitutto,la disposizione interiore e, successivamente, le azioni che ne dovrebbero seguire nelle scelte quotidiane, generando un’onda adeguata, ove occorra, per mutare i processi decisionali. L’imprenditore non può essere per lo status quo, ma per imprimere innovazione e nuovi sistemi di governance nell’impresa, ristabilendo un equo rapporto tra uomo e natura, che si era interrotto anche per precedenti interpretazioni sul significato di crescita illimitata della capacità produttiva del sistema economico, favorendo consumi di massa. Credere che l’uomo debba dominare la natura, e disporre a suo piacimento, non deve indurre a pensare che questo atteggiamento consenta ogni tipo di sfruttamento delle risorse naturali, che provocano disastri ambientali e cambiamenti climatici. Il contesto in cui l’uomo è inserito è un sistema fatto di connessioni evidenti o nascoste, comprese o misteriose. Preservare, custodire, innovare e coltivare questo sistema è un dovere e interesse di tutti.
Tornando all’accenno fatto a san Francesco, c’è una frase a lui attribuita, che ci sembra un’ottima conclusione: “Cominciate a fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”. Nulla deve scoraggiare gli imprenditori in questo compito, che Papa Francesco chiama “nobile vocazione”. Se l’attività imprenditoriale produrrà ricchezza, creerà posti di lavoro, migliorerà il mondo, promuoverà – nella sobrietà e nella sostenibilità economica – il bene comune, ristabilendo un rapporto armonico con il Creato; se realizzerà, appunto, tutto questo, l’imprenditore, credente o non credente, si sorprenderà di vedersi restituito un piacere, più interiore che esteriore, di pace, sapendo che la creatività, essendo generativa, non dorme, ma nasce ogni qual volta, uscendo dagli schemi, si cerchi una soluzione; per questo lascia una traccia indelebile di fronte alla bellezza della creazione e nella storia dello sviluppo dell’umanità.
L’AUTORE Oreste Bazzichi è docente di sociologia economica alla Pontificia Facoltà Teologica S. Bonaventura – Seraphicum (Roma), collabora a diversi periodici ed è membro della redazione della rivista della Fondazione Giuseppe Toniolo «La Società». Tra le sue pubblicazioni: Alle radici del capitalismo. Medioevo e scienza economica (2003); Dall’usura al giusto profitto. L’etica economica della Scuola francescana (2008); Dall’economia civile francescana all’economia capitalistica moderna (2015); Il Vangelo dell’imprenditore (2019).